Misteri & Fantasy

Posts written by ninise

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    La bambola originale di "Squid Game" esiste davvero e ha una sua storia

    Curiosando si impara

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    SpongeBob SquarePants e Patrick Stella sono stati avvistati da alcuni scienziati al largo di New York, presso il Retriever Seamount, situato nell'Oceano Atlantico.



    NOTIZIA di LUCA SCARSELLI — 31/07/2021

    Alcuni biologi marini hanno avvistato una spugna di mare di colore giallo e una stella marina rosa, incredibilmente simili ai personaggi di SpongeBob SquarePants e Patrick Stella, presso il Retriever Seamount: una montagna sottomarina che si trova nell'Oceano Atlantico, situata a circa a 200 miglia di distanza dalla città di New York.


    Christopher Mah, un ricercatore della National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa), ha condiviso la sua incredibile scoperta su Twitter, scherzando: "Normalmente evito riferimenti di questo genere... ma WOW. Ecco i veri SpongeBob e Patrick!"


    Le due creature marine sono state avvistate da un veicolo telecomandato, inviato dalla nave Okeanos Explorer della NOAA. Christopher ha spiegato che sono una spugna Hertwigia, gialla e quadrata, e una stella marina Chondraster, dal colore rosa pastello.

    Parlando con la rivista Insider, Mah ha aggiunto: "Ho pensato che sarebbe stato divertente fare il confronto visto che, per una volta, gli esemplari che abbiamo scoperto erano effettivamente paragonabili alle immagini e ai colori iconici dei personaggi del cartone animato. Come biologo specializzato in stelle marine, mi sento in dovere di dire che la maggior parte delle rappresentazioni di Patrick e Spongebob non sono assolutamente corrette."
    https://movieplayer.it/news/spongebob-squa...U2BGP43skGnctJA
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    creazione del team di The Vault, così si chiama il bar, che ha condiviso la foto nelle sue storie Instagram, facendo diventare virale il cocktail dedicato a Baby Yoda, preparato con Grey Goose Vodka, kiwi pestato, lime fresco, sciroppo di zucchero di canna e Bitter
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    Download?File=cooltext334679637781460
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    due anni dopo nulla è cambiato, siamo di nuovo al punto di rottura, posso essere aiutata davvero a questo punto? Ho tanta paura, mi sento vulnerabile, allo scoperto, e non ho più un posto dove nascondermi, nemmeno a casa mia... l'ansia mi attanaglia pensando al colloquio di domani
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    Edited by ninise - 19/8/2016, 00:22
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    www.perdavvero.com/albero/?ref=fb
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    silvia-carlucci-sintomi-depressione

    ...e così ho dato un nome al malessere che affligge la mia esistenza da qualche anno ormai...


    Il Disturbo Evitante di Personalità


    Che cos’e’ il disturbo Evitante

    Il disturbo evitante di personalità (DEP) è un disturbo di personalità caratterizzato dalla convinzione radicata del soggetto di valere poco; ciò porta la persona a sentire un profondo senso di inadeguatezza nella vita di relazione, con un enorme timore delle critiche, della disapprovazione altrui e di esclusione. Per evitare queste esperienze dolorose e la sensazione di sentirsi escluso dagli altri, la persona con disturbo evitante di personalità tende ad avere una vita ritirata; il ritiro sociale, seppur conduce ad una esistenza priva di stimoli, triste, con un visibile senso di vuoto e, a volte, quasi senza senso, evita alla persona di esporsi e di vivere il malessere dell’inferiorità e del senso di inadeguatezza.
    Questi soggetti, non hanno un gruppo di amici con i quali uscire la sera e sul lavoro si mantengono ai margini rinunciando alla carriera per non essere sottoposti al giudizio altrui; tuttavia desiderano fortemente istaurare delle relazioni, poter avere un partner, condividere esperienze ed interessi con i gli altri. Ma la difficoltà a vivere l’imbarazzo o l’umiliazione li induce ad evitare il confronto.
    Si tratta di un disturbo comune nelle popolazioni cliniche con una prevalenza dell’1-10%. Ad oggi non abbiamo informazioni chiare su come si distribuisce nei due sessi o sulla presenza di familiarità.

    Come si manifesta

    Le persone affette da disturbo evitante di personalità sono caratterizzate da problemi relazionali associati ad un radicato senso di inadeguatezza e timore del giudizio negativo altrui; manifestano, infatti, un elevato grado di inibizione e ritiro sociale, legato al fatto che ritengono che la valutazione negativa dagli altri sia un dato di fatto. Preferiscono allora tenersi fuori dalle relazioni, ad eccezione di quelle abituali e rassicuranti (es. con i familiari più stretti), pur desiderando di avere delle relazioni sociali. Queste persone, infatti, sentono come gli altri il bisogno di una vita di relazione soddisfacente, che rimane, però, inespresso; questo comporta un estremo malessere che può essere sperimentato come senso di vuoto o come un doloroso senso di esclusione.
    Assistono in questo modo allo svolgimento della vita degli altri come se fossero in un film di cui sono spettatori passivi; vivono costantemente la distanza dagli altri, nelle situazioni di coppia non riescono a trovare elementi di condivisione con l’altro, così come non sentono di appartenere ad alcun gruppo.
    Quando si trovano a confrontarsi con le altre persone vivono il disagio della sensazione di non essere visti, di non essere considerati, alla stregua di persone di poco valore; questa esperienza favorisce il mantenimento della convinzione di valere poco e di non avere abilità sufficienti a stabilire e mantenere una pur minima relazione. Si sentono, infatti, incapaci nell’approccio e nel mantenere un discorso, hanno l’idea di non avere nulla di interessante da proporre agli altri e di non essere attraenti.
    Ricorrono, quindi, all’evitamento come unico comportamento autoprotettivo da ciò che provoca malessere, dalle proprie emozioni negative; tale comportamento non permette loro di sviluppare quelle risorse ed abilità necessarie nelle relazioni, così come la capacità di venire a contatto con le proprie emozioni. Per poter vivere sensazioni positive e gratificanti, anche se momentanee, coltivano interessi ed attività solitarie (es. musica, lettura, chat) che non implicano necessariamente un contatto con gli altri; in alcuni casi ricorrono anche all’uso di sostanze, in particolare dell’alcool, per sedare il malessere interiore ritagliandosi così una parentesi di piacere virtuale. Talvolta è possibile che questo stile di vita povera di stimoli, monotona contribuisca all’insorgenza di un quadro depressivo.
    Quando riescono a stabilire una relazione, in genere, le persone con DEP tendono ad assumere un atteggiamento sottomesso per il timore di perderla e di ritornare ad essere soli; si attaccano, quindi, con tenacia all’altra persona assecondandola per evitare il rifiuto temuto. Con il passare del tempo, tuttavia, tale situazione di costrizione può indurre a reazioni di rabbia non sempre controllate; i soggetti con questo disturbo, infatti, possono non tollerare l’idea di dover vivere il rapporto di coppia come se fosse l’unica via d’uscita ed esplodere quando devono affrontare le difficoltà con il proprio partner.

    Come capire se si soffre di disturbo evitante di personalità

    L’evitante si sente diverso ed inadeguato rispetto agli altri e considera questa condizione come immutabile. Tende allora a restare solo, a casa, in famiglia, lontano dal mondo, con la sensazione che la vita non possa riservargli piacevoli sorprese. Desidera liberarsi da questo stile di vita che si ripete monotono, ma quando tenta un qualsiasi approccio con le altre persone, si ritrae temendo il giudizio negativo ed il rifiuto non ritenendosi all’altezza del confronto; si comporta allora in maniera impacciata, per rifugiarsi poi nella fuga.
    Dal momento che è possibile riscontrare la presenza di alcune di queste caratteristiche anche in altri disturbi psicologici, è opportuno chiarire alcune distinzioni tra il disturbo evitante di personalità ed altre condizioni che possono sembrare apparentemente simili.
    Il disturbo evitante di personalità, in generale, va differenziato dai disturbi d’ansia o dalla depressione, che possono rappresentare fasi transitorie del disturbo legate alle diverse circostanze di vita, e da coloro che reagiscono con timidezza e con comportamenti di evitamento in situazioni che vivono come problematiche e stressanti.
    Questo disturbo va, inoltre, distinto da altre patologie con caratteristiche simili con cui può essere confuso, che sono:
    il disturbo schizoide di personalità, in cui il soggetto non desidera costruire delle relazioni, ma preferisce la solitudine ed è indifferente all’accettazione o al rifiuto da parte degli altri;
    la fobia sociale, con cui ha in comune uno stato di attivazione ansiosa, sostenuta da una bassa autostima, che lo porta ad aspettarsi un giudizio negativo da parte degli altri; la differenza sta nel fatto che l’evitante ha un timore pervasivo in tutte le situazioni sociali e relazionali, nella fobia sociale, invece, possiamo osservare, in genere, specifiche paure correlate alla prestazione sociale;
    il disturbo dipendente di personalità (DDP), dove si presume che la persona abbia una paura di essere abbandonato, o non amato, maggiore rispetto all’evitante;
    il disturbo narcisistico di personalità (DNP), in cui ci si aspetta una conferma della propria grandezza dagli altri; l’evitante, invece, cerca inutilmente smentite alla propria inadeguatezza;
    il disturbo paranoideo di personalità (DPP), che condivide con il paziente evitante la difficoltà a leggere le intenzioni altrui, che vengono interpretate a partire dal proprio punto di vista; questi due disturbi, tuttavia, si differenziano per il fatto che il paziente paranoideo percepisce in termini di minaccia i pensieri degli altri, mentre l’evitante tende a pensare di essere oggetto di giudizio negativo.
    È, quindi, necessario rivolgersi a persone competenti che possano fare una diagnosi seria ed accurata.

    Cause

    Il disturbo evitante esordisce nella tarda adolescenza e prima età adulta; esistono casi in cui tratti marcati di timidezza oppure di altre manifestazione dei disturbi d’ansia sociale si manifestano nell’infanzia e precedono lo sviluppo successivo di una personalità evitante.
    Alcuni autori sostengono che aspetti evitanti appaiono precocemente e derivano in parte da fattori biologici temperamentali innati. Tale predisposizione biologica non sarebbe però sufficiente per determinare lo sviluppo del disturbo.
    Sono state descritte come altri possibili fattori di rischio, infatti, storie di abusi fisici, storie di rifiuto da parte dei genitori, atteggiamenti che vengono rinforzati dal rifiuto dei coetanei, precoci esperienze di vita che hanno condotto ad un esagerato desiderio di accettazione e ad un’intolleranza alle critiche. Ad esempio, un bambino oggetto di continui scherzi ed umiliazioni da parte coetanei potrebbe rifugiarsi nel proprio mondo familiare, compatto e chiuso, che percepisce come rassicurante nei confronti di un ambiente esterno fatto di persone minacciose e rifiutanti, e sviluppare negli anni delle caratteristiche di personalità evitanti.

    Conseguenze

    Diversi pazienti riescono a mantenere un discreto funzionamento sociale e lavorativo, organizzando il loro stile di vita in un ambiente familiare e protetto. Tendono a mantenere il proprio lavoro negandosi ambizioni di carriera e quindi di confronto; si limitano a vivere le ristrette relazioni abituali, generalmente quelle familiari. Se il loro sistema di supporto cede, tuttavia, vanno incontro a depressione, ansia e collera. L’umore depresso è una delle motivazioni che può spingere il paziente a richiedere l’intervento psicologico. Tale aspetto sintomatologico può diventare anche molto serio, per sfociare anche in ideazione suicidaria. Per affrontare il malessere legato all’ansia o alla depressione, a volte i pazienti evitanti possono fare uso di sostanze, in particolare di alcolici; tale abitudine a volte può assumere le caratteristiche di una vera e propria condotta di abuso, che va ad accrescere l’isolamento del paziente che vede la propria immagine e la propria autostima crollare inesorabilmente. Nel complesso, il paziente evitante tende ad accettare con fastidio l’abitudine alla solitudine e vive rassegnato circa la possibilità di recuperare un’accettabile vita di relazione; convive con la propria solitudine, a volte con rimpianto, altre volte con fastidio.

    Differenti tipi di trattamento

    Da quando il disturbo evitante di personalità è stato descritto, sono stati effettuati solo pochi studi per valutare l’efficacia clinica dei diversi protocolli terapeutici.
    In generale si sono rivelati efficaci i trattamenti psicoterapeutici individuali e di gruppo con caratteristiche supportivo-espressive. L’obiettivo comune è quello di regolare empaticamente l’imbarazzo e l’umiliazione del paziente quando si trova in situazioni sociali.
    Le modalità terapeutiche utilizzate sono spesso associate a strategie comportamentali e di skill training per incoraggiare l’esposizione della persona alle situazioni temute ed incrementare le abilità sociali.
    I training assertivi all’interno di una terapia cognitivo-comportamentale possono migliorare l’autostima dei pazienti.
    Generalmente, il lavoro psicoterapeutico contribuisce a diminuire il disagio emotivo delle persone e permette loro di confrontarsi con meno timori alla vita relazionale e sociale. Riteniamo opportuno consigliare simili strategie solo quando il paziente appare in grado di definire e riconoscere i propri pensieri e le proprie emozioni, ed è pronto quindi a cercare di affrontare le situazioni problematiche.
    La terapia di gruppo può aiutare i soggetti a capire gli effetti che la loro sensibilità al rifiuto ha su di loro e sugli altri; riteniamo necessario non trascurare nelle prime fasi del trattamento un approccio psicoterapeutico individuale, questo per il livello d’ansia che le prime sedute di gruppo potrebbe generare nel paziente e per favorire la costruzione di una salda relazione terapeutica.
    Il trattamento farmacologico viene usato in determinate fasi del trattamento e in combinazione con altri interventi, per gestire aspetti sintomatici come ansia e depressione. Vengono utilizzati ansiolitici (es. alprazolam) che aiutano a gestire la riacutizzazione ansiosa o brevi episodi di panico causati dal dover affrontare situazioni solitamente evitate, oppure farmaci betabloccanti per gestire l’iperattività del sistema nervoso autonomo che si ha quando si affrontano situazioni temute. Gli inibitori della ricaptazione della serotonina (es. fluoxetina, paroxetina) si sono rivelati efficaci nella gestione di sintomi tipici della fobia sociale, e possono essere utili nel complesso nei confronti della sensibilità al rifiuto e della timidezza.
    Comunque il disturbo evitante sembra rispondere abbastanza bene alla terapia cognitivo-comportamentale a medio-lungo termine (da uno a due anni) come anche a interventi di social skills training.

    Il trattamento cognitivo-comportamentale

    Il nucleo centrale del disturbo evitante è la sensazione dolorosa di non riuscire a condividere l’esperienza con gli altri e ad appartenere ai gruppi. Tale sensazione di distacco interpersonale viene favorita e mantenuta dalla difficoltà che i pazienti hanno nel monitoraggio metacognitivo, ovvero nel riconoscere e descrivere le proprie emozioni e i propri pensieri. E’ necessario allora intervenire subito su questo aspetto, poiché la non consapevolezza degli stati di sofferenza emotiva, comporta che nessun intervento di comprensione e condivisione sarà possibile.
    In particolare, la difficoltà ad identificare gli stati interni, si accompagna alla tendenza a creare cicli interpersonali quando i pazienti entrano in contatto con gli altri: possono sentirsi inadeguati e per questo esclusi (“Quando le persone capiscono chi sono, mi evitano”); possono sentirsi distaccati (“Non capisco gli altri e gli altri non capiscono me”) o costretti nelle relazioni (“Sono costretto a tollerare la presenza degli altri”). Tale funzionamento alimenta il distacco interpersonale e le difficoltà di comunicazione anche nella relazione terapeutica.
    Il passo seguente è quello di incrementare le capacità di collegare i propri pensieri e le emozioni che si provano alle variabili esterne; questo anche attraverso tecniche cognitive standard (come compiti di auto-osservazione, tecniche di ristrutturazione cognitiva o di role-playing).
    Soltanto successivamente si cercherà di portare il paziente a sperimentare nuove strategie di padroneggiamento delle difficoltà relazionali efficaci come autoimposizione di un comportamento o l’autoesortazione per verificare e confutare all’esterno le proprie convinzioni errate circa le relazioni e acquisire o incrementare quelle abilità sociali che nel tempo si sono impoverite.
    Altro aspetto fondamentale su cui intervenire è il decentramento, ovvero la tendenza che i pazienti evitanti hanno di interpretare le intenzioni e i pensieri degli altri secondo proprio punto di vista disfunzionale ed egocentrico.
    Durante l’intero trattamento sarà necessario riconoscere e modulare i cicli interpersonali. Attraverso una linea strategica mirata ad incrementare l’esperienza condivisa tra paziente e terapeuta; la condivisione dell’esperienza ridurrà il rischio che il terapeuta venga percepito critico o giudicante e aumenterà il senso di sicurezza del paziente rispetto all’incontro con un estraneo quale il terapeuta.
    In altre parole, il modello di trattamento metacognitivo-interpersonale del disturbo evitante di personalità presso il Terzo Centro di Psicoterapia Cognitiva è il seguente:
    aiutare il paziente a identificare le emozioni, raccontare gli eventi di vita e connetterli con l’esperienza soggettiva (incrementare il livello di monitoraggio) per modulare la sensazione di estraneità e distacco che prende i partecipanti alla relazione terapeutica;
    identificare e gli stati mentali problematici, ovvero quelle emozioni, pensieri e stati fisici, che provocano sofferenza al paziente;
    cercare di favorire momenti di condivisione tra paziente e terapeuta; la condivisione dell’esperienza ridurrà il rischio che il terapeuta venga percepito critico o giudicante;
    riconoscere e gestire in seduta i cicli interpersonali disfunzionali cercando di favorire i momenti di condivisione tra paziente e terapeuta; ciò riduce il rischio che il terapeuta venga percepito critico o giudicante.
    interventi mirati a modificare i cicli interpersonali e gli schemi che li sostengono;
    acquisire le strategie sociali per migliorare la comunicazione e la comprensione delle regole condivise socialmente;
    aiutare il paziente a interpretare il funzionamento mentale degli altri abbandonando il proprio punto di vista (migliorare il decentramento);
    evitare di “evitare”.
    permettere attraverso il recupero della percezione delle proprie emozioni e della capacità di leggere adeguatamente gli stati mentali degli altri, di sperimentare un senso soggettivo di appartenenza e di condivisione.

    http://www.terzocentro.it/disturbi-persona...di-personalita/
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    Sopravvissuto - The Martian

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    La sinossi
    Durante una missione su Marte, l'astronauta Mark Watney viene considerato morto dopo una forte tempesta e per questo abbandonato dal suo equipaggio. Ma Watney è sopravvissuto e ora si ritrova solo sul pianeta ostile. Con scarse provviste, Watney deve attingere al suo ingegno, alla sua arguzia e al suo spirito di sopravvivenza per trovare un modo per segnalare alla Terra che è vivo. A milioni di chilometri di distanza, la NASA e un team di scienziati internazionali lavorano instancabilmente per cercare di portare "il marziano" a casa, mentre i suoi compagni cercano di tracciare un'audace, se non impossibile, missione di salvataggio.

    il mio commento Inviato il 18/01/2016:
    questo film mi è abbastanza piaciuto, sopratutto perchè di mio mi ha sempre stimolato e incuriosito la situazione in cui il protagonista cerca di sopravvivere in un pianeta inospitale con le poche risorse disponibili ingegnandosi a trovare soluzioni (in effetti questo anche in libri di fantascienza letti in passato mi ha sempre intrigato parecchio quindi onestamente il mio giudizio è di parte :P) io tra l'altro consiglio, dopo la visione del film (se vi fosse venuta voglia di approfondire un pò di più il lato tecnico), di ascoltare il video della Recensione Scientifica fatta da link4universe un ragazzo davvero preparato in astronomia, simpaticissimo e pieno di passione che ama spiegare come funzionano le cose e che a me piace veramente molto --> Recensione Scientifica - The Martian [Libro+Film]

    Battleship

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    La sinossi
    Ispirato al famoso gioco da tavolo della Hasbro, Battleship, diventa un kolossal action diretto da Peter Berg, che amplifica la battaglia portandola in mezzo al mare e sulle isole Hawaii, contro un attacco alieno di devastante portata. A difendere il mondo, le flotte internazionali della marina militare, riunite nel pacifico per la consueta esercitazione annuale. Sarà la squadra di marines guidata dal testardo e difficile comandante Alex Hopper a bordo della nave da guerra John Paul Jones a tentare l'impossibile per distruggere gli indesiderati ospiti, dotati di armi e tecnologia mai viste prima.

    il mio commento Inviato il 18/01/2016:
    Visto ieri sera mi è piaciuto molto, fortissimo impatto visivo degli effetti speciali e tecnologia aliena, bellissime e grandiose le scene in mare aperto, davvero splendide, trama non originalissima ma ben strutturata con alcune punte di umorismo che me lo hanno fatto apprezzare ancora di più, se cercate un film d'azione con grandi effetti speciali per una serata non impegnativa o di contenuto questo film fa per voi...

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    CITAZIONE
    Oggi gli esperti concordano nel contare cinque gusti fondamentali: dolce, salato, amaro, aspro e umami. Quest’ultimo, descritto per la prima volta da uno scienziato giapponese poco più di un secolo fa, è il gusto pieno e saporito dato o esaltato da alimenti come la salsa di soia, la carne stagionata, i pomodori maturi o cucinati e il glutammato monosodico.

    Pare che un’area chiamata corteccia gustativa contenga gruppi di neuroni specializzati nel reagire ai singoli gusti fondamentali. Dalla lingua i segnali arrivano a questi neuroni dopo aver attraversato il tronco encefalico. Raggiunta la corteccia gustativa, o forse lungo il percorso, diventano parte di un’esperienza complessa che conosciamo solo in parte e che di solito chiamiamo “gusto”, anche se probabilmente sarebbe meglio parlare di sapore. Le papille gustative sono responsabili solo in piccola parte della nostra esperienza del cibo. Tutto il resto è dovuto a una sorta di percezione retro-olfattiva.

    Potete fare una prova voi stessi, con una caramella. Stringete il naso con le dita e masticate, per esempio, un’anonima caramella gommosa bianca: la lingua registrerà immediatamente che si tratta di qualcosa di dolce. La dolcezza è data dallo zucchero, ed è il gusto principale della caramella. Basterà liberare il naso, però, per percepire il sapore: ah, è una caramella alla vaniglia! Se invece vi tappate il naso e lasciate cadere sulla lingua una goccia di essenza di vaniglia, non sentirete nulla, perché la vaniglia non ha un gusto ma solo un sapore che non si riconosce con il naso chiuso.
    Quando mastichiamo, inghiottiamo o espiriamo, «le molecole volatili del cibo vengono spinte dietro il palato e nella cavità nasale», come il fumo che sale su per un camino. Nella cavità nasale si legano ai recettori olfattivi (noi esseri umani ne abbiamo fra i 350 e i 400 tipi), che sono i veri responsabili della percezione dei sapori.

    Questa percezione è diversa rispetto a quella che chiamiamo gusto - la sensazione derivata dalle papille gustative - ed è anche diversa dall’olfatto in senso stretto, perché il cervello distingue tra gli odori che sentiamo attraverso le narici (olfatto ortonasale) e quelli che raggiungono la cavità nasale mentre mangiamo (olfatto retronasale), anche se entrambi vengono riconosciuti dagli stessi recettori.

    «Il cervello capisce se stiamo annusando, masticando o inghiottendo qualcosa, e tratta i segnali in modo differente. Le informazioni provenienti dall’olfatto retronasale raggiungono una parte diversa del cervello, la stessa che riceve le informazioni dalla lingua. Combinando l’olfatto retronasale con il gusto, il cervello crea quello che noi chiamiamo sapore, anche se le regole di questa integrazione non ci sono ancora del tutto chiare».

    Vivere senza olfatto retronasale può essere sgradevole. Barb Stuckey, responsabile del settore innovazione della Mattson, un’azienda californiana che produce cibi e bevande, racconta della volta in cui fu contattata da una donna che aveva perduto l’olfatto in seguito a un incidente d’auto. Il suo senso del gusto - le papille gustative sulla lingua e le loro connessioni con il cervello - sembrava intatto, ma per lei niente aveva più un buon sapore, perché il collegamento tra i recettori olfattivi del naso e il cervello era stato reciso. In pratica, quasi tutti i cibi che mangiava non avevano più sapore per lei. «La donna aveva fatto causa alla persona che l’aveva investita», racconta Stuckey, «e doveva dimostrare la propria invalidità. Non era un’impresa semplice, perché in apparenza era sana».

    Per aiutare la donna a dimostrare di aver subito un danno, Stuckey tagliò una galletta di riso - uno di quei dischi di riso soffiato quasi del tutto insapori con la consistenza del polistirolo - e condì i pezzi con una miscela di composti di riferimento per i cinque gusti fondamentali: zucchero (dolce), sale da tavola (salato), acido citrico (aspro), caffeina (amaro) e glutammato monosodico (umami). Questi composti sono sostanzialmente privi di molecole volatili e non hanno effetto sui recettori olfattivi. «Ho spedito i pezzi di galletta alla donna, dicendole di farli assaggiare ai giudici spiegando che una persona che non ha olfatto percepisce in questo modo tutto ciò che mangia».

    La signora in questione ha vinto la causa.

    fonte http://www.nationalgeographic.it/dal-giorn...877808/6/#media
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    Childhood’s End

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    La sinossi

    La miniSerie TV Childhood’s End (sono 3 episodi) è ispirata al classico di fantascienza di Arthur C. Clarke (Le guide del tramonto), che racconta l’invasione aliena sulla Terra da parte del misterioso popolo dei Superni. All’apparenza una razza pacifica, il contatto con i visitatori si svolge per decenni a bordo delle navi spaziali, ma ben presto l’identità e la cultura umana saranno cancellate.
    il mio commento Inviato il 01/01/2016:
    Non avevo letto il racconto ma sono rimasta assolutamente colpita da questa miniserie tv. Lo svolgimento è lento, a volte anche troppo, però la trama è veramente intrigante e il finale davvero emozionante, mi ha turbato e non poco, non nascondo che ho versato anche qualche lacrimuccia sentita... la consiglio
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    Star Wars: Episodio VII - Il risveglio della forza

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    La sinossi

    All'incirca trent'anni dopo la battaglia di Endor e la distruzione della seconda Morte Nera, Luke Skywalker, l'ultimo Jedi, è scomparso. Sia la Resistenza, una forza militare sostenuta dalla Repubblica e guidata dal generale Leia Organa, sia il sinistro Primo Ordine, nato dalla ceneri dell'Impero Galattico, perlustrano la galassia nel tentativo di trovarlo.
    il mio commento Inviato il 01/01/2016:
    Aspettavo da mesi questo film ma è stato una mezza delusione. Infatti nonostante sia partito anche bene curiosamente all'introduzione dei vecchi personaggi che sarebbero dovuti essere il punto forte ha avuto un totale e brusco declino. Vederli ridotti a un ruolo marginale e con dialoghi di una sciatteria e una tristezza infinita mi ha deluso non poco, ma il punto davvero dolente è la trama vera e propria, di una banalità imbarazzante, senza spessore e pure mezza scopiazzata dalla trilogia originale.
    Sui nuovi personaggi invece, devo dire che Rey e Finn mi sono piaciuti e BB-8 pucciosissimo non poteva non conquistarmi, ma Kylo Ren? Un cattivo con l'aspetto di un bamboccione e l'atteggiamento di un tredicenne capriccioso... è stato una trashata che non ho gradito assolutamente insieme a tutto il suo background che non svelo per non spoilerare
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    CITAZIONE

    Crema verde di patate con polpo

    ricette-halloween-crema-pesto-patate-con-polpo



    Ingredienti:
    due patate grandi,
    due cime di broccolo,
    una decina di foglie di basilico,
    sale,
    pepe,
    un cucchiaio di parmigiano,
    1 cucchiaio di ricotta fresca,
    tentacoli di polipo surgelati.

    Mettiamo a cuocere i tentacoli di polpo surgelato in acqua calda bollente e scoliamoli appena cotti. Teniamoli in caldo.
    Nel frattempo mettiamo a lessare patate sbucciate e broccoli. Frulliamoli, una volta cotti, con olio, basilico, sale e pepe, ricotta e parmigiano.
    Componiamo i bicchieri mettendo sul fondo la crema di patate e disponendo in cima i tentacoli come se la piovra stesse tentando di uscire… per invadere la terra.

    fonte: www.mammafelice.it/2014/10/15/ricet...tate-con-polpo/
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    CITAZIONE

    Ricette di Halloween: dolcetti a forma di cervello

    ricette-di-halloween-per-bambini-dolcetti-a-forma-di-cervello



    Ingredienti:
    biscotti al cioccolato,
    Nutella,
    panna per dolci da montare,
    2 cucchiai di zucchero a velo,
    colorante alimentare rosso.

    Incolliamo i biscotti due a due spalmandovi la Nutella al centro.
    Montiamo la panna con lo zucchero a velo e 3 gocce di colorante alimentare rosso o rosa.
    Creiamo delle palline di panna in cima ai biscotti, poi con la sacca da pasticcere e il beccuccio liscio, creiamo le classiche circonvoluzioni del cervello, da una parte all’altra della nostra ‘montagnetta’ di panna.
    Teniamo in frigo fino al momento prima di servire.

    fonte: www.mammafelice.it/2014/10/21/ricet...ma-di-cervello/
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