Il Grande Golpe Globale - chi sono Mario Monti e Luca Papademos?

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    Il Grande inganno: da Maastricht a Lisbona
    di Solange Manfredi – tratto da http://paolofranceschetti.blogspot.com/


    Premessa
    Nel corso di questi anni ho scritto diversi articoli sottolineando alcune sentenze o leggi che, a mio parere, presentavano diverse anomalie:
    violazioni costituzionali nell'esercizio della politica monetaria;
    attentato agli organi costituzionali;
    La costituzione inesistente, abbiamo perso tutto;
    Il lodo Alfano? Un falso bersaglio, l'Italia ha perso la tutela dei diritti umani.

    Non riuscivo a spiegarmi, allora, perché questi fatti non venissero segnalati, commentati e, soprattutto, perché i media tacessero la “pericolosità” di quanto stava accadendo.
    Oggi, probabilmente, ho capito il perché di quell’assordante silenzio.
    Quella che vi sto per raccontare è la storia di un grande inganno, un inganno che parte da lontano, sin dalla fine della seconda guerra mondiale.
    E’ la storia di un progetto (eversivo???) che vuole l’Europa governata da una oligarchia.
    Poiché il progetto subisce, nel 1992, un’importante accelerazione, è da tale anno che inizieremo a raccontare questa storia.

    Maastricht
    Il 29 gennaio 1992 viene emanata la legge numero 35/1992 (Legge Carli - Amato) per la privatizzazione di istituti di credito ed enti pubblici.
    Passano pochi giorni ed ecco un’altra data cruciale, il 7 febbraio 1992. In questa data avvengono due fatti estremamente importanti per la realizzazione del progetto:
    viene varata la legge 82 con cui il ministro del Tesoro Guido Carli (già governatore della Banca d’Italia), attribuisce alla Banca d’Italia la “facoltà di variare il tasso ufficiale di sconto senza doverlo più concordare con il Tesoro”. Ovvero dal 1992 la Banca d’Italia decide autonomamente per lo Stato italiano il costo del denaro;

    Giulio Andreotti come presidente del Consiglio assieme al ministro degli Esteri Gianni de Michelis e al ministro del Tesoro Guido Carli firmano il Trattato di Maastrich, con il quale vengono istituiti il Sistema europeo di Banche Centrali (SEBC) e la Banca Centrale Europea (BCE). Il SEBC è un’organizzazione, formata dalla BCE e dalle Banche Centrali nazionali dei Paesi dell’Unione Europea, che ha il compito di emettere la moneta unica (euro) e di gestire la politica monetaria comune con l’obiettivo fondamentale di mantenere la stabilità dei prezzi.
    I cittadini italiani non si rendono conto della gravità delle conseguenze che questi atti hanno, ed avranno, sulle loro vite. Ne subiscono le conseguenze e quando si domandano “perchè”, ogni volta viene loro proposto un capro espiatorio diverso. L’importante è che i cittadini non riescano a capire quanto sta avvenendo.

    I potenti, nel frattempo, continuano a lavorare al loro progetto e, il 13 ottobre 1995, il governo italiano, con il Decreto Ministeriale numero 561, pone il segreto su:
    “articolo 2) atti, studi, analisi, proposte e relazioni che riguardano la posizione italiana nell’ambito di accordi internazionali sulla politica monetaria…;
    d) atti preparatori del Consiglio della Comunità europea;
    e) atti preparatori dei negoziati della Comunità europea…
    Articolo 3. a ) atti relativi a studi, indagini, analisi, relazioni, proposte, programmi, elaborazioni e comunicazioni… sulla struttura e sull’andamento dei mercati finanziari e valutari…; ecc. …)”.

    Insomma, quanto il Governo sta facendo per realizzare il progetto europeo non si deve sapere, men che meno in ambito di politica monetaria.

    Il 1 gennaio 2002 l’Italia ed altri Paesi europei (non tutti) adottano come moneta l’uro. I prezzi raddoppiano, gli stipendi no. La crisi economica si acuisce. Anche in questo caso viene offerto ai cittadini qualche capro espiatorio per giustificare una crisi che, invece, secondo alcuni analisti, è stata pianificata da tempo.

    Il 4 gennaio 2004 Famiglia Cristiana rende note le quote di partecipazione alla Banca d’Italia. Si scopre così, per la prima volta (le quote di partecipazione di Banca d’Italia erano riservate) che l’istituto di emissione e di vigilanza, in palese violazione dell’articolo 3 del suo statuto (“In ogni caso dovrà essere assicurata la permanenza della partecipazione maggioritaria al capitale della Banca da parte di enti pubblici o di società la cui maggioranza delle azioni con diritto di voto sia posseduta da enti pubblici) è, per il 95% in mano a banche private e società di assicurazione (Intesa, San Paolo, Unicredito, Generali, ecc..). Solo il 5% è dell’INPS.

    Da quando la Banca d’Italia è in mano ai privati? Come è potuto succedere tutto ciò? La risposta è semplice: con la privatizzazione degli istituti di credito voluta con la legge numero 35/1992 Amato- Carli, cui, l’ex governatore della Banca d’Italia, ha fatto subito seguire la legge 82/1992, che dava facoltà alla Banca d’Italia di decidere autonomamente il costo del denaro.
    In altri termini con queste due leggi la Banca d’Italia è divenuta proprietà di banche private che si decidevano da sole il costo del denaro sancendo così, definitivamente, il dominio della finanza privata sullo Stato. A questo stato di cose seguono i noti scandali bancari (Bond argentini, Cirio, Parmalat, scalata Unipol con il rinvio a giudizio del governatore di Banca d’Italia Fazio, ecc..) con grande danno per migliaia di risparmiatori.
    Non è possibile che il ministro Carli, ex governatore della Banca d’Italia, non si sia accorto di tutto ciò. Ed ancora: è possibile che i politici, ministri del Tesoro, governatori non si siano accorti, per ben 12 anni, di questa anomalia? Comunque se ne accorgono alcuni cittadini, che citano immediatamente in giudizio la Banca d’Italia.

    Il 26 settembre 2005 un giudice di Lecce, con la sentenza 2978/05, condanna la Banca d’Italia a restituire ad un cittadino (l’attore) la somma di euro 87,00 a titolo di risarcimento del danno derivante dalla sottrazione del reddito monetario.
    Nella sentenza viene sottolineato, inoltre, come la Banca d’Italia, solo nel periodo 1996-2003, si sia appropriata indebitamente di una somma pari a 5 miliardi di euro a danno dei cittadini. Ma ancora non basta, perché la perizia del CTU nominato dal giudice mette in evidenza:

    Per quanto concerne la Banca d’Italia:
    come questa sia, in realtà, un ente privato, strutturato come società per azioni, a cui è affidata, in regime di monopolio, la funzione statale di emissione di carta moneta, senza controlli da parte dello Stato;
    come, pur avendo il compito di vigilare sulle altre banche, Banca d’Italia sia in realtà di proprietà e controllata dagli stessi istituti che dovrebbe controllare;
    come, dal 1992, un gruppo di banche private decida autonomamente per lo Stato italiano il costo del denaro.

    Per quanto concerne la BCE:
    come questa sia un soggetto privato con sede a Francoforte;
    come, ex articolo 107 del Trattato di Maastricht, sia esplicitamente sottratta ad ogni controllo e governo democratico da parte degli organi dell’Unione Europea.
    come la succitata previsione faccia si che la BCE sia un soggetto sovranazionale ed extraterritoriale;
    come, tra i sottoscrittori della BCE, vi siano tre Stati (Svezia, Danimarca ed Inghilterra) che non hanno adottato come moneta l’euro, ma che, in virtù delle loro quote, possono influire sulla politica monetaria dei Paesi dell’euro.

    In altri termini la sentenza mette in evidenza come lo Stato, delegato dal popolo ad esercitare la funzione sovrana di politica monetaria, dal 1992 l’abbia ceduta a soggetto diverso dallo Stato: prima alla Banca d’Italia (di proprietà al 95% di privati), quindi alla BCE (soggetto privato, soprannazionale ed extraterritoriale).

    Così facendo lo Stato ha violato due articoli fondamentali della Costituzione:
    L’articolo 1 che recita: “... La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Infatti il popolo aveva delegato i suoi rappresentanti ad esercitare la funzione sovrana di politica monetaria, non a cederla a soggetti privati;
    L’articolo 11 della Costituzione che recita: “L’Italia … consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

    L’articolo 11 della Costituzione consente limitazioni (non già cessioni) della sovranità nazionale.
    Inoltre, la sovranità monetaria non è stata ceduta a condizioni di parità (le quote di partecipazione alla BCE non sono paritarie), vi fa parte anche la Banca d’Inghilterra che non fa parte dell’euro e partecipa alle decisioni di politica monetaria del nostro Stato, senza che lo Stato italiano possa in alcun modo interferire nella politica monetaria interna.
    Ed ancora. Tale limitazione (non cessione) può essere fatta ai soli fini di assicurare “la pace e la giustizia tra le Nazioni”. I fini della BCE non sono quelli di assicurare pace e giustizia fra le nazioni, ma quello di stabilire una politica monetaria. La sentenza è, quindi, estremamente importante e, per taluni, anche estremamente pericolosa, visto che ai politici che illegittimamente hanno concesso la sovranità monetaria prima alla Banca d’Italia e poi alla BCE potrebbero essere contestati i reati di cui agli articoli:
    241 codice penale: “Chiunque commette un fatto diretto a sottoporre il territorio dello Stato o una parte di esso alla sovranità di uno Stato straniero, ovvero a menomare l’indipendenza dello Stato, è punito con l’ergastolo”.
    283 codice penale: “Chiunque commette un fatto diretto a mutare la costituzione dello Stato, o la forma del Governo con mezzi non consentiti dall’ordinamento costituzionale dello Stato, è punito con la reclusione non inferiore a dodici anni”.

    I politici, infatti, hanno ceduto un potere indipendente e sovrano ad un organismo privato e, per quanto riguarda la BCE , anche esterno allo Stato. Il pericolo c’è, ma la paura di un possibile rinvio a giudizio per questi gravi reati dura poco. Per una strana coincidenza, a soli 5 mesi dalla sentenza che condanna la Banca d’Italia, nell’ultima riunione utile prima dello scioglimento delle camere in vista delle elezioni, con la legge 24 febbraio 2006 numero 85 dal titolo “Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione” vengono modificati proprio gli articoli 241 (attentati contro l’indipendenza, l’integrità e l’unità dello Stato); 283 (attentato contro la Costituzione dello Stato); 289 (attentato contro organi costituzionali e contro le assemblee regionali), ovvero le figure di attentato alle istituzioni democratiche del Paese, che, diciamolo, con i reati di opinione hanno ben poco a che vedere.

    Cosa cambia con questa modifica? Nella sostanza le figure di attentato diventano punibili solo se si compiono atti violenti. Se invece si attenta alla Costituzione semplicemente abusando di un potere pubblico non si commette più reato. I politici, dunque, non solo sono salvi per quanto concerne il passato, ma, da ora in poi, potranno abusare del loro potere pubblico violando la Costituzione senza più rischiare assolutamente nulla. Certo, questa modifica priva la nostra repubblica di qualsiasi difesa, ma di questo pare nessuno se ne accorga.

    Pochi mesi dopo questa modifica arriva la sentenza 16.751/2006 della Cassazione a Sezioni Unite, che accoglie il ricorso di Banca d’Italia avverso la succitata sentenza del giudice di Lecce. Nelle motivazioni si legge: “... al giudice non compete sindacare il modo in cui lo Stato esplica le proprie funzioni sovrane, tra le quali sono indiscutibilmente comprese quelle di politica monetaria, di adesione a trattati internazionali e di partecipazione ad organismi sovranazionali: funzioni in rapporto alle quali non è dato configurare una situazione di interesse protetto a che gli atti in cui esse si manifestano assumano o non assumano un determinato contenuto”.

    In altri termini il giudice non può sindacare come lo Stato esercita le sue funzioni sovrane, neanche quando queste arrechino un danno al cittadino.

    Ma, come abbiamo appena visto, il cittadino è rimasto privo di difese anche nel caso in cui, abusando di poteri pubblici, la sua sovranità venga svenduta a soggetti privati. E allora che fare? Al cittadino resta un’ultima flebile speranza? Può aggrapparsi alla violazione dell’articolo 3 dello Statuto della Banca d’Italia? Assolutamente no, anche l’articolo 3 dello Statuto, ovviamente, è stato modificato a dicembre del 2006. Ora non è più necessaria nessuna partecipazione pubblica in Banca d’Italia. Tutto in mano ai privati per Statuto.
    La sovranità monetaria è persa. Ma l’inganno è solo all’inizio, anche se è stato portato a termine un tassello importante del progetto, in fondo si sa, è il denaro che governa il mondo.

    Lisbona
    I potenti, sicuri della loro totale impunità, proseguono nel grande inganno e, visto che nel 2005 la Costituzione Europea (che presentava palesi violazioni con le maggiori costituzioni europee e pareva scritta per favorire le grandi lobby affaristiche in danno dei cittadini) era stata bocciata da francesi ed olandesi al referendum, decidono che, per far passare il testo, si deve agire in due modi:

    evitare di far votare la popolazione;
    rendere il testo illeggibile.

    Il loro progetto prevede di lasciare la Costituzione Europea immutata e, per evitare il referendum, di chiamarla Trattato. Poi, per non far capire al cittadino che nulla è cambiato, rendono il testo illeggibile inserendo migliaia di rinvii ad altre leggi e note a piè pagina, come hanno confessato:
    l’ex presidente francese Valéry Giscard D’Estaing: “Il Trattato è uguale alla Costituzione bocciata. Solo il formato è differente, per evitare i referendum”;
    il parlamentare europeo danese Jens-Peter Bonde “i primi ministri erano pienamente consapevoli che il Trattato non sarebbe mai stato approvato se fosse stato letto, capito e sottoposto a referendum. La loro intenzione era di farlo approvare senza sporcarsi le mani con i loro elettori”;
    il nostro Giuliano Amato: “Fu deciso che il documento fosse illeggibile... Fosse invece stato comprensibile, vi sarebbero state ragioni per sottoporlo a referendum”.

    Nel 2007 tutto è pronto e il 13 dicembre i capi di governo si riuniscono a Lisbona per firmare il Trattato, ovvero la Costituzione Europea bocciata nel 2005 e resa illeggibile. Ora manca solo la ratifica dei vari Stati.
    Il parlamento italiano ratifica il trattato di Lisbona l’8 agosto del 2008, approfittando della distrazione dei cittadini dovuta al periodo feriale. Nessuno spiega ai cittadini cosa comporti la ratifica del Trattato, ed i media, ancora una volta, tacciono.
    In realtà con quella ratifica abbiamo ceduto la nostra sovranità in materia legislativa, economica, monetaria, salute e difesa ad organi ( Commissione e Consiglio dei Ministri) che non verranno eletti dai cittadini. Il solo organo eletto dai cittadini, il Parlamento Europeo, non avrà, nei fatti, alcun potere.
    Ancora una volta i nostri politici, abusando del loro potere pubblico, hanno violato l’articolo 1 e 11 della nostra Costituzione.
    L’articolo 1 perchè, come detto, lo Stato ha la delega ad esercitare la funzione sovrana in nome e per conto dei cittadini, non a cederla. E’ come se una persona avesse il compito di amministrare un immobile e lo vendesse all’insaputa del proprietario, abusando del potere che gli è stato conferito.

    Inoltre ha violato l’articolo 11 perché, come abbiano visto: “L’Italia… consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità”.

    Lo Stato, invece, ancora una volta ha ceduto la sovranità e l’ha ceduta non in condizioni di parità. Infatti l’Inghilterra, che già non ha aderito all’euro, in sede di negoziato ha ottenuto diverse e importanti esenzioni per aderire al Trattato di Lisbona, eppure pare che il primo presidente europeo sarà proprio l’ex primo ministro inglese Tony Blair. La nomina a presidente europeo di Blair deve far riflettere, sopratutto in ordine alla cosiddetta Clausola di Solidarietà presente nel Trattato di Lisbona. Detta Clausola prevede che ogni nazione europea sia tenuta a partecipare ad azioni militari quando si tratti di lottare contro “azioni terroristiche” in qualunque altra nazione. Il problema e che nessuno ha definito cosa si intenda per “azioni terroristiche”. Chi deciderà chi è un terrorista e perchè? Persone come Tony Blair, in passato coinvolto nello scandalo sulle inesistenti armi di distruzione di massa in mano a Saddam con cui è stata giustificata la guerra all’Iraq? A quante guerre ci sarà chiesto di partecipare solo perché qualche politico non democraticamente eletto avrà deciso di usare la parola “terrorista” o “azione terroristica”?

    Si consideri che già, oggi, basta definire un cittadino “presunto terrorista” per poterlo privare dei diritti umani e permettere che i servizi segreti possano sequestrarlo a fini di tortura, attività criminale che potrà poi essere coperta con il segreto di Stato, come ha recentemente confermato con la sentenza 106/2009 anche la nostra Corte Costituzionale.

    Ma il dato più allarmante è che con il Trattato di Lisbona viene reintrodotta la pena di morte. Ovviamente tale dicitura non è chiaramente presente nel testo, ma in una noticina a piè pagina (si continua nell’inganno).
    Leggendo attentamente questa noticina, e seguendo tutti i rimandi, si arriva alla conclusione che con il Trattato di Lisbona accettiamo anche la Carta dell’Unione Europea, la quale dice “La morte non si considera cagionata in violazione del presente articolo se è il risultato di un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario: Per eseguire un arresto regolare o per impedire l’evasione di una persona regolarmente detenuta; per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o un’insurrezione” (articolo 2, paragrafo 2 della CEDU).
    La cosa è di estrema gravità. Infatti, anche in questo caso, chi deciderà che una protesta è sfociata in disordini tali da rendere lecito un omicidio? (l’Italia, poi, ha un triste primato in fatto di “agenti provocatori” pagati per trasformare una manifestazione in guerriglia). In quali casi si potrà sparare sulla folla disarmata? Chi deciderà quando potranno essere sospesi i diritti umani? Perché di questo si tratta.

    Ecco la storia di un grande inganno, un inganno che inizia

    - con il cedere illecitamente, proteggendosi con il segreto, la funzione sovrana dell’esercizio della politica monetaria a privati:
    - nello sfuggire alle responsabilità del proprio operato depenalizzando le figure di attentato alla Costituzione;
    - nell’approfittare delle ferie estive per ratificare un Trattato con cui vengono cedute le nostre restanti sovranità (legislativa, economica, monetaria, salute, difesa, ecc.) ad una oligarchia non eletta e che nessuno conosce;
    - ed, in ultimo, nel dare il potere a qualche politico di poter privare i cittadini dei loro diritti umani semplicemente con una parola.

    Così, quando i cittadini si renderanno conto che hanno perso tutto, che la loro vita viene decisa da una oligarchia di potenti non eletti democraticamente, quando si renderanno conto del grande inganno in cui sono caduti non sarà loro concesso neanche reagire o protestare, perchè basterà una sola parola per trasformare la reazione in “azione terroristica” o la protesta in “insurrezione”, legittimando così la sospensione dei diritti umani e l’applicazione della pena di morte. Il tutto, poi, verrà coperto con il segreto di Stato.


     
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    Monti, il governo dei conflitti d’interesse / Inchiesta

    Scritto da agoravox.it
    Giovedì 24 Novembre 2011 00:04

    Il ministro Passera si è dimesso da ad di Intesa, ma ne detiene ancora oltre otto milioni di azioni; ed è socio di un'università privata di Roma legata all'Opus Dei che ha ricevuto una montagna di soldi pubblici e di una clinica privata convenzionata coinvolta in un'inchiesta per peculato.

    Gran parte dei ministri del governo Monti hanno lavorato per grandi banche, organizzazioni e aziende che hanno a che fare con concessionari pubblici, o ne sono soci.

    Una rete di affari e interessi che non ha risparmiato le attenzioni delle procure.



    Giurava che non si sarebbe mai messo a fare politica, chiamava «spazzatura» le voci che davano per imminente la sua discesa in campo. «Guidando questa banca faccio il lavoro più bello del mondo, e ritengo che facendo così posso influenzare positivamente la società», diceva Corrado Passera, poco più di un anno fa, al Financial Times. Mercoledì pomeriggio, invece, giurava nelle mani di Napolitano come ministro del Governo tecnico di Mario Monti, che lo ha voluto a capo di un super-ministero che, da solo, riunisce le deleghe allo sviluppo economico, alle infrastrutture e ai trasporti. La sua nomina ha sollevato subito polemiche per via della carica di amministratore delegato del gruppo Intesa-Sanpaolo che Passera ha ricoperto fino alla scorsa settimana. Il conflitto d’interessi infatti è plurimo: Intesa-Sanpaolo è azionista di Rcs Mediagroup, l’editore del Corriere della Sera (Passera è stato nel cda di Rcs fino al 2009), e detiene quasi il nove per cento della cordata, messa in piedi dallo stesso Passera, che ha rilevato Alitalia nel 2008, il 12 per cento della holding che controlla Telecom, e, tramite una società del gruppo, il 20 per cento della Ntv, la società ferroviaria di Montezemolo e Della Valle che dovrà competere con Trenitalia e che già oggi è in lotta con l’ad delle Ferrovie dello Stato, Mauro Moretti, per le tariffe dei pedaggi ferroviari.


    Meno recenti gli incarichi del ministro Passera nei Cda di altre grandi aziende italiane, dalle Poste alla Cir, passando per Finmeccanica, la Banca di Trento e Bolzano, Olivetti e diverse società editoriali, tra cui La Repubblica S.p.A. e il Gruppo Editoriale L’Espresso.

    «La cosa che mi è pesata di più, lasciare la banca non è facile dopo dieci anni», ha detto mercoledì, dopo essersi dimesso dal Cda di Intesa. Nessuna notizia invece sulla cessione delle sue quote azionarie: oltre otto milioni e mezzo di azioni di Intesa-Sanpaolo per un valore complessivo di 10,5 milioni di euro, e svariate altre partecipazioni in cui si celano altri conflitti d'interessi, finora passati inosservati. Passera, infatti, oltre a essere socio di un albergo e di diverse società immobiliari ed editoriali, possiede anche azioni per oltre 56mila euro di Campus Bio-Medico S.p.A., una società per azioni con sede a Milano che controlla l'omonima università privata di Roma, con annesso policlinico, nata nel 1993 per volontà dell'Opus Dei. Per anni il Campus ha svolto le sue attività in strutture prese in affitto dall'American Hospital di Roma. La sede definitiva, «75 ettari di terreno, immersa nel verde» a Trigoria, appena fuori città, è stata inaugurata il 14 marzo 2008 alla presenza del Segretario di Stato Vaticano, Tarcisio Bertone, dell'allora Presidente della Regione Piero Marrazzo, Gianni Letta, l'ex direttore della sala stampa del Vaticano Navarro-Valls e Javier Echevarría, il vescovo spagnolo a capo dell'Opus Dei.

    Tre mesi e mezzo dopo, il primo luglio, la Regione Lazio accordava alla struttura finanziamenti pubblici per 71 milioni di euro: 61 per l'attività del policlinico, 10 per la didattica e la ricerca. Anche il ministero dell'Istruzione, nel 2009, ha finanziato il Campus con quasi 470mila euro. E i risultati si vedono: nella relazione che il Policlinico ha presentato agli azionisti di Campus Bio-Medico S.p.A. si legge che nel primo trimestre del 2010 il margine operativo netto del Università Campus Bio-Medico di Roma aveva superato i sette miliardi e mezzo di euro. Il Campus, inoltre, riceve i finanziamenti del 5 per mille dei contribuenti che decidono di destinarglielo perché rimane un istituto di ricerca senza scopo di lucro. Anche se è controllato da una società per azioni che per statuto nomina da quattro a sei consiglieri nel cda dell'Univeristà.

    Nel sito dell'Opus Dei si legge che il Campus è una «opera apostolica della Prelatura dell’Opus Dei» che «ha l’ambizione di finalizzare il sapere scientifico alla promozione della dignità della persona in un ambiente in cui i rapporti interpersonali sono ispirati dal criterio della carità e del servizio». Per compiere la sua opera apostolica, il Campus ha partecipato a un bando della Regione Lazio per finanziare «l'innovazione e il trasferimento tecnologico alle PMI laziali». La Regione ha ritenuto ammissibile la domanda, e ha finanziato il Campus con altri 610mila euro, di cui 95.185 euro per «organizzazione di eventi promozionali», 47mila euro per «missioni e viaggi», 91.906 euro per «effettuare analisi di mercato». Affinché la Regione potesse emanare il bando che ha permesso al Campus di ottenere questi finanziamenti è stata indispensabile la determina del ministero dello Sviluppo Economico, lo stesso che ora dirige Corrado Passera e che è responsabile di tutti gli adempimenti per la gestione del "Fondo per lo sviluppo economico, la ricerca e l'innovazione" finalizzato a erogare quegli stanziamenti.

    Tra i possedimenti finanziari di Passera c'è anche una quota di oltre il dieci per cento della Day Hospital International S.p.A., una società che controlla l'omonima clinica privata di Aosta: una struttura sanitaria privata convenzionata con la sanità regionale che ha beneficiato di rimborsi pubblici per 700mila euro l'anno. L'anno scorso la clinica è stata oggetto di un'indagine della Digos di Aosta, la cosiddetta inchiesta Bisturi, per truffa, evasione fiscale, smaltimento illecito di rifiuti speciali (sangue, ernie e appendici), assenteismo e peculato: secondo l'accusa la clinica avrebbe utilizzato, per gli interventi privatistici, strumenti, protesi, camici e medicinali di proprietà pubblica, pagati dal sistema sanitario e utilizzati a fini privati. Il 28 settembre scorso Alberto Morelli, ex amministratore della clinica (il suo mandato è scaduto a giugno del 2010), ha scelto di patteggiare la pena per lo smaltimento illecito di rifiuti, mentre per l'accusa di peculato è andato a processo con rito abbreviato. La Usl si è costituita parte civile, ma la Digos ha mosso accuse anche all'azienda sanitaria, contestandole di non aver vigilato abbastanza. Secondo il consulente inviato dal ministero della Salute, la convenzione con la clinica di cui Passera è socio avrebbe dovuto seguire a una gara di appalto europea, che però non c'è stata.



    La storia del neo-ministro dello Sviluppo Economico, che è anche responsabile dell'amministrazione del settore delle telecomunicazioni, si è incrociata più volte con quella di Silvio Berlusconi. I due sono "nemici" di vecchia data. Passera fu uno dei manager di De Benedetti che sostituì in Mondadori quelli di Berlusconi quando, nel 1990, il Cavaliere perse il lodo arbitrale con la Cir per l'acquisto della casa editrice. Due anni dopo, nell'occasione di un convegno, Passera denunciò con durezza «l’esistenza di una concorrenzialità gravemente minacciata dalla posizione dominante della Fininvest» che «controlla quasi il 40 per cento del fatturato pubblicitario complessivo nazionale». Risposta di Berlusconi: «Passera legge troppi fumetti».

    Negli ultimi anni, però, a parte qualche sfogo polemico contro Tremonti per via dell'aumento del carico fiscale sulle banche, ha avuto occasione di farsi perdonare: Intesa-Sanpaolo ha concesso a beneficio di Fininvest un plafond di credito che negli anni è arrivato a due miliardi e trecento milioni di euro, allargato di altri 400 milioni dopo la condanna di Fininvest a risarcire 564 milioni di euro a De Benedetti per il danno conseguente alla corruzione giudiziaria che riportò Mondadori nelle mani di Berlusconi.

    Tra i pochi nemici che sembra essersi fatto Corrado Passera c'è Giovanni Consorte, al quale si mise di traverso nella scalata alla Bnl. «Il dottor Passera me l'ha cacciato nel culo», ricorda Consorte al telefono con toni poco teneri al senatore del Pd Nicola Latorre.

    Il nuovo ministro dello Sviluppo Economico non è immune neanche alle indagini giudiziarie: è stato indagato per due crack finanziari, Fiornini e Cirio, e per false comunicazioni sociali nell’indagine su Olivetti della Procura di Ivrea, e ne è sempre uscito indenne.

    Ma non è l’unico ministro del Governo Monti ad avere avuto problemi con la Giustizia. A fargli compagnia c’è Corrado Clini, ministro dell’Ambiente. Basta sfogliare a ritroso il suo lungo curriculum istituzionale per vedere che di ambiente e rifiuti si è sempre occupato, sin dagli anni '80. Nel 1996 diede il via libera all'inceneritore di Verbania, che riteneva un impianto «pilota», escludendo la necessità di un'autorizzazione preventiva dello Stato. L'azienda che lo aveva realizzato si chiama Thermoselect, che è anche il nome dell'avveniristica tecnologia di gassificazione che l'impianto avrebbe dovuto usare.

    Ma per quell'impianto i vertici della Thermoselect finirono sotto processo per lo sversamento di cianuro nei torrenti vicini alla struttura, e vennero condannati dalla Cassazione per difformità autorizzative dell'impianto. Che oltre a inquinare, scoppiava. Era talmente insicuro che esplose persino durante un'ispezione dei vigili del fuoco e della Usl. Corrado Clini, già allora direttore generale del ministero dell'Ambiente, venne indagato per quell'autorizzazione "facile" e poi archiviato dopo che il suo avvocato, Carlo Taormina, futuro deputato forzista, riuscì a ottenere il trasferimento del procedimento a Roma. Oggi Clini, autore di articoli per diverse testate contro il cosiddetto "ecocatastrofismo", è uno dei più convinti oppositori del protocollo di Kyoto. E viene segnalato, come hanno riportato Vittorio Malagutti e Giorgio Meletti sul Fatto Quotidiano, come "senior fellow" sul sito dell'Istituto Bruno Leoni, un centro di ricerca di ispirazione «liberista, individualista, libertaria» che si propone di contrastare l'«estremismo verde» degli ambientalisti.

    Il nuovo ministro degli Interni, Anna Maria Cancellieri, un curriculum di commissario prefettizio di tutto rispetto (ha cominciato a 19 anni alla Presidenza del Consiglio, ora ne ha 67), è passata alla storia per avere negato la presenza di infiltrazioni mafiosa a Genova, due anni fa, quando ne era prefetto. Lo stesso anno il presidente della Regione Sicilia, Raffaele Lombardo, l'ha nominata Commissario al Teatro Bellini di Catania, e in quella funzione è stata indagata, a seguito di un esposto dell'ex sovrintendente del teatro, per via di una serie di consulenze da migliaia di euro ritenute eccessive dal pm Alessandro La Rosa, che sospetta possano essere state finalizzate ad arrecare un'indebito vantaggio patrimoniale ai consulenti, tra cui figurava il soprintendente del Comune di Bologna («lo scelsi perché conoscevo la sua professionalità», si difende lei). Il ministro Cancellieri risulta essere tutt'ora indagata per abuso d'ufficio.

    A Bologna, dov'era commissario prefettizio, la Cancellieri si era distinta per avere prorogato i finanziamenti alle scuole private (più di un milione di euro) nonostante l'esiguo bilancio del comune. Un conflitto di interessi, quello con gli istituti privati di istruzione e ricerca, che riguarda buona parte del nuovo esecutivo: su otto professori al Governo, sei vengono da istituti privati. Tra gli altri due c'è il ministro dell'Istruzione, Francesco Profumo, rettore del Politecnico di Torino e presidente del Cnr su nomina dell'ex ministro Gelmini. Nel 2005, appena insediatosi come rettore del Politecnico, siglò un accordo con General Motors per lo sviluppo di un centro di ricerca della società americana nell'Università di Torino, un'iniziativa che non trovò il favore degli studenti, che la contestarono con forza. «La ricerca al Politecnico di Torino è occupata per un terzo dalla General Motors», ha denunciato un loro portavoce. Da segnalare che tra i maggiori investitori della General Motors Company c'è Goldman Sachs Group Inc., la banca d'affari internazionale di cui il premier Mario Monti è stato consulente dal 2005, che ne possiede azioni per oltre 360mila euro. Ma non è l'unico conflitto di interessi di Francesco Profumo.

    Oltre a essere membro del comitato di selezione del premio organizzato dall'Eni, il neo-ministro dell'Istruzione sedeva anche, fino al giorno della nomina, nei cda di Pirelli, Telecom Italia, dell'università telematica Uninettuno, e nell'Advisory Board di Reply S.p.A., una società che annovera tra i suoi clienti concessionari pubblici come Sky e Seat Pagine Gialle. In passato è stato nei cda di Unicredit Private Banking e del Sole 24 Ore.

    Nel caso di Giampaolo Di Paola, invece, il conflitto d'interessi è congenito: mettere un ammiraglio a capo del ministero della Difesa vuol dire, di fatto, affidare la politica militare italiana all'esercito, indebolendone il controllo politico dell'esecutivo. È la seconda volta che succede nella storia della Repubblica. La prima fu quella del generale Domenico Corcione, ministro della Difesa nel Governo Dini, ma in quel caso Corcione aveva formalmente dismesso i panni di militare da tre anni, quando per ragioni anagrafiche venne collocato in ausiliaria. Di Paola, poi, non è un ufficiale militare qualunque, ma uno degli uomini più potenti della Nato, di cui presiede il comitato militare. Fu lui a firmare l'intesa che impegna l'Italia all'acquisto di 131 cacciabombardieri statunitensi che ci costeranno 16 miliardi di euro. Ed era con lui, come si legge in un cablogramma segreto pubblicato da Claudio Gatti sul Sole 24 Ore del 15 ottobre scorso, che gli Usa trattavano per il trasferimento del comando europeo delle Forze speciali Usa da Stoccarda a Sigonella. Di Paola consigliava loro di non seguire «la strada che passa per un coinvolgimento del Parlamento italiano» ma di «legare eventuali attività militari alla lotta al terrorismo, cosa che potrebbe fornire una copertura politicamente accettabile a un'ampia gamma di operazioni».

    Il ministro della Difesa, quindi, forniva agli Stati Uniti la scusa che avrebbero dovuto utilizzare per coprire le attività militari che gli italiani non avrebbero altrimenti permesso loro di svolgere, dissuadendoli dal passare per il Parlamento. Di Paola, del resto, all'accordo di Sigonella ci teneva, anzi, lo considerava una «priorità assoluta». Tanto che, nel 2005, consigliava agli statunitensi di impegnarsi a incassare la firma prima delle elezioni del 2006, perché «se arrivasse un cambio di Governo in Italia» prima della firma dell'accordo «sarebbe politicamente impossibile per gli Usa continuare a operare con la relativa libertà d'azione che hanno adesso con le base italiane». Ora gli Usa possono esultare.

    Altro manager chiamato da Monti nel suo esecutivo è Piero Gnudi, delegato a Sport e Turismo, membro del direttivo di Confindustria, del cda di Unicredito Italiano, della giunta direttiva di Assonime (l'associazione tra le spa italiane) e, fino allo scorso aprile, del cda dell'Enel. Dal 1994 ha fatto parte del consiglio di amministrazione dell'Iri, in cui ebbe l'incarico di sovrintendere alle privatizzazioni volute dal centrosinistra nel '97.

    Tra gli incarichi del Ministro Gnudi c'è anche quello di presidente della Sesto Immobiliare S.p.A., la cordata che riacquistò l'ex area Falck di Sesto San Giovanni, oggi sotto la lente di ingrandimento della Procura di Monza che ha avviato un'indagine, in cui è coinvolto l'ex sindaco del Pd Filippo Penati, per finanziamento illecito, corruzione e concussione.

    I magistrati di Monza, grazie alle indagini sulle presunte tangenti per la riqualificazione dell'area Falck, hanno trovato collegamenti con altre tangenti per la privatizzazione degli scali aeroportuali della Capitale. Anche all'epoca ricorrevano gli stessi nomi, compreso quello di Gnudi (che non è mai stato indagato). Diego Cotti, imprenditore ed ex politico di Sesto, ha dichiarato ai pm che Giordano Vimercati, braccio destro di Penati, in merito alla trattativa per l’acquisto dell’area delle ex acciaierie Falck gli avrebbe detto: «Falck stabilisce il prezzo ma vende a chi diciamo noi. Perché Falck vuole entrare in Aeroporti di Roma e ha bisogno di un placet nazionale». Falck negli Aeroporti di Roma ci entrò, nel 2000, grazie al consorzio Leonardo - di cui era proprietaria al 31 per cento - a cui l'Iri, all'epoca presieduta da Piero Gnudi, vendette AdR per 2.570 miliardi di lire.

    Il neoministro è anche membro esecutivo della fondazione Aspen, finanziata da buona parte dell'imprenditoria italiana e internazionale tra cui decine di banche e assicurazioni (anche Intesa-Sanpaolo), Anas, Italcementi, Lottomatica, Mediaset, Confartigianato e Confindustria, Edipower, Edison, Enel, Eni, Erg, Shell, Farmindustria, Fastweb, Fincantieri, Finmeccanica, la Rai, Seat Pagine Gialle, Sky Italia, Telecom e decine di altre grandissime aziende (Microsoft e Google incluse). Con lui, nel comitato esecutivo, c'è tutta l'Italia che conta. Tra gli altri: Giuliano Amato, Confalonieri, Emma Marcegaglia, Frattini, Prodi, Tremonti, Caltagirone, persino Paolo Mieli. Anche il presidente del consiglio Mario Monti e un altro ministro del Governo, Lorenzo Ornaghi, ai Beni Culturali, già rettore dell'Università Cattolica e consigliere dell'editore di Avvenire, nonché uomo vicinissimo a Ruini e Bagnasco, ne fanno parte.

    Paola Severino, invece, nuovo ministro della Giustizia, non ha bisogno di entrare nel giro della grande finanza italiana, perché è la grande finanza ad andare da lei, nel suo studio legale. Avvocato dal 1977, nella sua carriera ha rappresentato nelle aule di giustizia gli interessi di Rai, Telecom, Enel, Eni, Sparkle, Caltagirone e Geronzi. Senza contare i politici: da Prodi a Formigoni, da Cesa a Rutelli, e persino Giovanni Acampora, l'avvocato Fininvest condannato per corruzione in favore di Berlusconi nel processo per il Lodo Mondadori. Ora dovrà occuparsi di amministrare la macchina della giustizia e di depurarla dai privilegi processuali riservati ai colletti bianchi. Tra i nomi apprezzati dall'ex-premier c'è anche quello del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Antonio Catricalà, già presidente dell'Autorità antitrust dal 2005, dopo essere stato segretario generale di Palazzo Chigi sotto il secondo governo Berlusconi (non sorprende che nella sua funzione di presidente dell'Antitrust non abbia mai affrontato il problema della concorrenza nel mercato televisivo italiano).

    Il nuovo ministro del Lavoro con delega anche alle Pari Opportunità, Elsa Maria Olga Fornero, di conflitti d'interessi ne ha più d'uno. Fino al giorno della nomina è stata consigliere di sorveglianza e vicepresidente di Intesa-Sanpaolo, oltre che membro del cda di Buzzi Unicem S.p.A., società di trasporto e merci su strada «focalizzata su cemento, calcestruzzo e aggregati naturali» che ha bruciato rifiuti pericolosi nel cementificio di Cadola fino a diversi anni fa (anche se il 19 aprile scorso furono segnalate emissioni di polvere di cemento dall'impianto che ridussero addirittura la visibilità stradale) e che partecipa ad appalti pubblici. In passato la Fornero è stata nei cda di diverse finanziarie e assicurazioni, mentre suo marito, Mario Deaglio, ex direttore del Sole 24 Ore e oggi editorialista de La Stampa, è consigliere del Gruppo Banca Sella e della società finanziaria di Torino Consel.

    Un curriculum nelle banche ce l'ha anche Piero Giarda, ministro per i Rapporti con il Parlamento, ex collaboratore di Padoa-Schioppa nel governo Prodi, già segnalatosi per avere usato l'aereo dei vigili del fuoco per partecipare al giuramento. È membro del consiglio di sorveglianza del Banco Popolare e presidente del cda della Cassa del Trentino, controllata dalla Provincia Autonoma di Trento per finanziare i progetti d'investimento degli enti pubblici provinciali. In passato è stato anche nei cda di di Bipielle Investimenti S.p.A. (presidente e amministratore), Banca Federale Europea S.p.A. (presidente), Banca Popolare di Lodi, Banca Popolare di Milano, Acea e Pirellli & C.


    Ha collaborato Antonio Mazzeo


    Fonte: www.agoravox.it/Monti-il-governo-dei-conflitti-d.html.


    fonte:http://www.megachip.info/tematiche/legalita/7223-monti-il-governo-dei-conflitti-dinteresse--inchiesta.html
     
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